24/04/13

Dal governo Monti al teatro Capranica. La storia del PD.

In Italia si riescono a fare cose che in nessun altro Paese della via lattea riescono.

In tutto questo paradosso c'è il Partito Democratico come assoluto protagonista.
Scrivo questo pezzo tra risate e perplessità, purtroppo. La storia inizia qualche mese fa quando il governo Monti cade per mano del Caimano, come se in quattro portano un Santo in spalla, davanti ci sono uno dell'Udc e uno del Pd e dietro due del Pdl. Quelli del Pdl non chiedono il cambio, bensì decidono di far cadere il Santo anche se Monti di Santo ha ben poco.

Il Pdl si prende gli oneri di aver sfiduciato Monti anche se sfiducia mai ce n'è stata, mentre il Pd diventa il maggiore responsabile di quel governo tecnico e l'Udc ci costruisce la coalizione per le elezioni successive. Un colpo strategico da applausi, se non ci fosse l'Italia in piena crisi economica.

I partiti si organizzano. Il Pd fa un patto di alleanza con Sel, socialisti e Centro Democratico di Tabacci. Il Pdl trova l'accordo con la Lega e altri piccoli partiti. L'Udc forma il grande centro con Fli e Lista Civica di Mario Monti. E c'è anche un comico con un movimento di cittadini.

Il Pd fa le primarie per la scelta del candidato leader della coalizione. In campo il segretario Bersani, il segretario di Sel Vendola, il segretario di Cd Tabacci e i democratici Puppato e Renzi. La competizione si svolge in due turni dove alla fine la spunta Bersani contro Renzi.

Poco più in là il Pd fa anche le primarie per i parlamentari. Nonostante ci fosse ulteriore tempo, Bersani (consigliato sempre dai soliti volponi), indica come data utile il 30 Dicembre. Come se non bastasse si tiene una quota di parlamentari da nominare. Essi dovranno rispondere a delle caratteristiche importanti che gli elettori non sarebbero in grado di vedere.

Grazie alle primarie per i parlamentari entrano il 40% di donne e ci ritroviamo un gruppo parlamentare fortemente rinnovato. Ma Bersani non ha ancora scelto la sua truppa. E tra docenti universitari, magistrati, giornalisti e figure apparentemente più di destra che di sinistra, ecco spuntare nomi di fiducia dei vari capi sostenitori di Bersani. Enrico Letta, di cui parlerò alla fine, riesce ad avere più parlamentari da Bersani che dalle primarie. Per esempio.

Nel mentre la campagna elettorale procede. Il Pd continua a corteggiare Monti e ad attaccare Berlusconi. Berlusconi fa le solite promesse da campagna elettorale. Grillo riempe le piazze e conferma ogni volta la sua teoria che i partiti sono in via di estinzione e che sanno solo inciuciare. Ah, c'è anche Ingroia con una coalizione che mette insieme Di Pietro e i comunisti.

Le elezioni regalano un risultato incredibile. Pd, Pdl e M5S hanno pareggiato. Ma il Pd ha preso qualcosina in più e ha la maggioranza assoluta alla Camera e relativa al Senato. Bersani ottiene un incarico da Napolitano. Inizia la sua esplorazione che prevede la ricerca dei voti necessari per ottenere la fiducia.
Nel mentre Laura Boldrini e Pietro Grasso diventano presidenti di Camera e Senato. Gli elettori applaudono. Berlusconi no, mentre si vedono le prime spaccature nel M5S.

Bersani non ha i numeri, torna da Napolitano che, impossibilitato a sciogliere le camere in quanto c'è il semestre bianco, riunisce dieci saggi. Mentre l'Italia si chiede ancora cosa hanno di saggio Violante e Quagliariello, nel Pd inizia il caos. Bersani è arroccato con l'establishment del partito, ossia tutti quelli che hanno il posto nel governo garantito. Gli altri non sanno più che devono fare. Quindi senza indicazioni del segretario, i parlamentari fanno ciò che vogliono perché non c'è più una linea. I dieci saggi riescono a scrivere un programma politico.

Si va verso l'elezione del Presidente della Repubblica. Il M5S ha eletto (anche se con poco meno di cinque mila voti alle quirinarie) Stefano Rodotà, uomo di sinistra, fondatore del PDS e DS, sempre presente alle iniziative del Pd. Berlusconi vuole scegliere dalla rosa dei nomi del Pd. Il Pd avvia le trattative con tutti tranne che con il M5S. C'è da capire perché questo cambio di strategia dal momento che il M5S è stato inseguito per quaranta giorni. Grillo lancia un videomessaggio a Bersani dove dice che se il Pd voterà Rodotà il M5S potrebbe votare la fiducia a Bersani. Se non è un'apertura questa..

Comunque Bersani e il suo vice Enrico Letta, che lo segue come un'ombra, trovano l'accordo con Berlusconi, Maroni e Monti su un nome a sorpresa. Prima però ci sarebbe da capire cosa tutto prevede questo accordo. Bersani finalmente convoca i gruppi parlamentari e la coalizione intera e presenta la candidatura di Franco Marini, già osteggiata dai renziani prima che nascesse la candidatura stessa. Marini, bravo politico e brava persona, viene bocciato da Sel e da novanta parlamentari Pd. Nel mentre sui social network gli elettori e gli iscritti al Pd rumoreggiano. Nonostante i No arrivati dall'assemblea, Bersani porta comunque Franco Marini al voto. E Marini non trova i due terzi dei voti, necessari per eleggerlo. Gliel'avevano detto che non c'erano i numeri. E gliel'hanno detto i giovani eletti con le Primarie. Così il teatro Capranica diventa il teatro di questa soap opera. A questo punto si contano quanti voti avrebbe trovato Rodotà nel Pd e non sono sufficienti nemmeno a superare il quorum alla quarta chiama.

A questo punto viene avanzata la candidatura di Romano Prodi, fondatore del Pd e unico outsider ad aver sconfitto due volte Berlusconi. Quindi è passata la linea che non ci deve essere accordo con Pdl e Lega ma al massimo con Monti e soprattutto con il M5S visto che Prodi è uno dei dieci nomi usciti dalle quirinarie. In piazza iscritti ed elettori del M5S, di Rivoluzione Civile e del Pd e Sel si ritrovano in nome di Rodotà. Sul web sono soprattutto i democratici a chiedere Rodotà. I giovani democratici occupano le sedi di partito di tutta Italia.
Prodi viene accolto con una standing ovation da parte dei parlamentari Pd. Alè, partito nuovamente unito. Ma in aula mancano 101 voti dal Pd. Gli stessi che lo hanno acclamato. Prodi cade sui colpi dello stesso partito da lui fondato. Nel Pd è guerra, Bersani e la segreteria si dimettono. Anche Letta, sembra. Chi non ha votato Prodi sono quelli che volevano l'accordo con Berlusconi e anche quelli dei rancori tra Prodi e D'Alema.

Il Pd torna da Pdl, Lega e Monti e trovano l'accordo su Napolitano che viene eletto. Tra Marini e Napolitano cambia ben poco visto che non è il nome il problema ma il metodo, ossia l'accordo (inciucio) con Berlusconi.
A questo punto sarà Napolitano a fare il governo. Il Pd convoca la direzione nazionale dove viene deciso che il dimissionario Letta farà parte della delegazione che andrà da Napolitano. Nel mentre viene avanzata la proposta di un governo Renzi. E meno male per Renzi che la sua candidatura è morta sul nascere.

L'epilogo di questa storia è il seguente: Italia Bene Comune muore dopo cinquanta giorni, Napolitano è il segretario del PD perché è lui che detta la linea politica, Letta sarà il Premier e il governo sarà formato da Pd, Pdl e Lista Civica. Che quella cosa che farà Letta la poteva fare anche Bersani cinquanta giorni prima ma tutti gli chiesero di non farlo.
Se questo non è un paradosso.