"E' arrivato il momento di guardare al futuro, senza il rimpianto per il passato. Voi non potete, la vostra età non ve lo permette." [Gianni Sanna]
25/07/11
Una bella notte d'America, il coraggio di esserci per gli altri. - di Alessandra Pili -
La cena inizia in ritardo, in un tipical sunday americano di Chicago: pioggia lampi e tuoni tutta la notte, umidità per il resto del giorno, 85%. A fine cena mi sembrerà inutile tutto quello in cui cerco di applicarmi negli ultimi anni e che costituisce la ragione per la quale sono qui, nella città di Obama.
Barbeque in preparazione dalle quattro del pomeriggio, sospetto ci sia un ospite speciale. In effetti lo è.
E' un medico, Mohamed, PHD alla University of Chicago, viene dalla Libia. How is going, man? everything well?
No, ma non vi voglio annoiare, inizia. Dopo molto insistenze inizia a spiegare il motivo della sua insofferenza, serbata con dignità.
Il suo o la sua Visa è in scadenza, e per il rinnovo pare non funzioni neanche la potente burocrazia americana, in ritardo, che rischia di fargli perdere il suo posto come dottorando in una delle più prestigiose università del mondo e che pare non prenda in considerazione il fatto che in Libia si stia consumando una guerra; il dipartimento pare gli farà gentilmente anche il biglietto di back home.
Se non otterrò il rinnovo, tornerò in Libia ad aiutare la mia gente, è questo il mio compito prima che da medico, da cittadino libico, dice. La guerra sta esasperando il mio popolo, il mio paese, un paese in mano a un folle che per mantenere il potere è capace di assoldare mercenari da ogni parte del mondo e mandarli a sparare contro i suoi stessi cittadini.
La comunità internazionale sta facendo tanto, vi ringrazio, si gira verso me e Andrea, il mio amico italiano che vive con me, ma c'è bisogno di tutti noi.
E' sposato, sua moglie e la sua famiglia vivono a Bengasi, sua sorella è dovuta scappare in Tunisia perchè in Libia non poteva ottenere le cure per la sua bambina. Un popolo in fuga da se stesso che ha di fronte a se una battaglia per la libertà ancora molto lunga.
Poi menziona l'aiuto che la Tunisia e l'Egitto stanno fornendo al suo paese, scuole aperte ai cittadini libici, ospedali, le famiglie tunisine, le stesse che hanno combattuto per la propria rivoluzione di primavera, ospitano intere famiglie di profughi libici.
Un esempio di solidarietà, spontanea, un aiuto che porta necessariamente a una riflessione.
Chino la testa, e d'istinto l'unica cosa che mi viene in mente è chiedere scusa.
Scusa per il ruolo misero e miserabile che in questi anni ha svolto il mio paese, il mio stavolta, ogni volta che c'era di mezzo la parola immigrazione.
Sull'immigrazione, sulle politiche dell'immigrazione, sulle politiche per l'immigrazione, abbiamo perso il coraggio di esserci per gli altri. Ho numerosi esempi nei quali abbiamo e continuiamo a fare bene, penso solo, per fare un esempio, al lavoro che la mia Provincia svolge da anni nel campo dell'immigrazione che seguo indirettamente anche attraverso il lavoro che molti amici volontari vi hanno svolto o il lavoro che i nostri parlamentari svolgono per migliorare una legislazione ai limiti della xenofobia.
E non vi è retorica in quello che scrivo, vi è solo un senso di rimprovero anche personale, su quello che potremmo fare e non abbiamo fatto, ma soprattutto su quello che come Paese, votato a una massiccia migrazione nei secoli, non abbiamo voluto fare.
Un reato di immigrazione clandestina, le barche piene di profughi che diventano problema internazionale per "chi se li deve prendere questi immigrati", le case comprate dal premier a Lampedusa, gli accordi anti immigrati firmati dal nostro Governo e da quello libico, la costituzione di "campi" per fermare gli immigrati alla frontiera libica, i Cie che di centri temporanei hanno ben poco, il clima di intolleranza che stiamo sviluppando, le ordinanze della Lega nel nord Italia, Rosarno. Pagine tristi.
Abbiamo un lungo e faticoso lavoro da fare.
I suoi occhi si illuminano mentre parla di tutto questo e mentre discutiamo tutti insieme di Libia, Europa, progetti e speranze.
Chi ha il proprio paese in difficoltà, lontano da sè, sviluppa o riscopre un senso di amore e appartenza, forse solo sopito prima di allora.
Chiude gli occhi e canta l'inno nazionale, non quello di Gheddafi, ma quello del popolo libico.
Una sera d'America, la più bella da quando sono qui.
Barbeque in preparazione dalle quattro del pomeriggio, sospetto ci sia un ospite speciale. In effetti lo è.
E' un medico, Mohamed, PHD alla University of Chicago, viene dalla Libia. How is going, man? everything well?
No, ma non vi voglio annoiare, inizia. Dopo molto insistenze inizia a spiegare il motivo della sua insofferenza, serbata con dignità.
Il suo o la sua Visa è in scadenza, e per il rinnovo pare non funzioni neanche la potente burocrazia americana, in ritardo, che rischia di fargli perdere il suo posto come dottorando in una delle più prestigiose università del mondo e che pare non prenda in considerazione il fatto che in Libia si stia consumando una guerra; il dipartimento pare gli farà gentilmente anche il biglietto di back home.
Se non otterrò il rinnovo, tornerò in Libia ad aiutare la mia gente, è questo il mio compito prima che da medico, da cittadino libico, dice. La guerra sta esasperando il mio popolo, il mio paese, un paese in mano a un folle che per mantenere il potere è capace di assoldare mercenari da ogni parte del mondo e mandarli a sparare contro i suoi stessi cittadini.
La comunità internazionale sta facendo tanto, vi ringrazio, si gira verso me e Andrea, il mio amico italiano che vive con me, ma c'è bisogno di tutti noi.
E' sposato, sua moglie e la sua famiglia vivono a Bengasi, sua sorella è dovuta scappare in Tunisia perchè in Libia non poteva ottenere le cure per la sua bambina. Un popolo in fuga da se stesso che ha di fronte a se una battaglia per la libertà ancora molto lunga.
Poi menziona l'aiuto che la Tunisia e l'Egitto stanno fornendo al suo paese, scuole aperte ai cittadini libici, ospedali, le famiglie tunisine, le stesse che hanno combattuto per la propria rivoluzione di primavera, ospitano intere famiglie di profughi libici.
Un esempio di solidarietà, spontanea, un aiuto che porta necessariamente a una riflessione.
Chino la testa, e d'istinto l'unica cosa che mi viene in mente è chiedere scusa.
Scusa per il ruolo misero e miserabile che in questi anni ha svolto il mio paese, il mio stavolta, ogni volta che c'era di mezzo la parola immigrazione.
Sull'immigrazione, sulle politiche dell'immigrazione, sulle politiche per l'immigrazione, abbiamo perso il coraggio di esserci per gli altri. Ho numerosi esempi nei quali abbiamo e continuiamo a fare bene, penso solo, per fare un esempio, al lavoro che la mia Provincia svolge da anni nel campo dell'immigrazione che seguo indirettamente anche attraverso il lavoro che molti amici volontari vi hanno svolto o il lavoro che i nostri parlamentari svolgono per migliorare una legislazione ai limiti della xenofobia.
E non vi è retorica in quello che scrivo, vi è solo un senso di rimprovero anche personale, su quello che potremmo fare e non abbiamo fatto, ma soprattutto su quello che come Paese, votato a una massiccia migrazione nei secoli, non abbiamo voluto fare.
Un reato di immigrazione clandestina, le barche piene di profughi che diventano problema internazionale per "chi se li deve prendere questi immigrati", le case comprate dal premier a Lampedusa, gli accordi anti immigrati firmati dal nostro Governo e da quello libico, la costituzione di "campi" per fermare gli immigrati alla frontiera libica, i Cie che di centri temporanei hanno ben poco, il clima di intolleranza che stiamo sviluppando, le ordinanze della Lega nel nord Italia, Rosarno. Pagine tristi.
Abbiamo un lungo e faticoso lavoro da fare.
I suoi occhi si illuminano mentre parla di tutto questo e mentre discutiamo tutti insieme di Libia, Europa, progetti e speranze.
Chi ha il proprio paese in difficoltà, lontano da sè, sviluppa o riscopre un senso di amore e appartenza, forse solo sopito prima di allora.
Chiude gli occhi e canta l'inno nazionale, non quello di Gheddafi, ma quello del popolo libico.
Una sera d'America, la più bella da quando sono qui.
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