23/01/13

Lettera di un papà di una figlia lesbica


Sono il papà di una ragazza di diciannove anni che quando ne aveva appena 12, seduti davanti ad un fuocherello in campeggio, mi chiese come mai provava il desiderio di abbracciare una sua amica e parlandone, dopo qualche minuto, capii che si trattava del suo primo innamoramento, erano gli stessi sintomi che tutti abbiamo provato a quell'età. Da allora non ha mai smesso di comunicare a sua madre e a me i suoi stati d'animo.

L'abbiamo sempre sostenuta e aiutata anche con il benefico supporto di esperti, sebbene, può immaginare, con tanti dubbi e difficoltà ma senza darle mai il peso di sentirsi sola.Ricordo che la mia principale preoccupazione, quando era ancora così piccola, era di immaginare che con molta difficoltà i suoi innamoramenti sarebbero stati corrisposti, l'immagine che avevo in mente era di una adolescente che si sarebbe innamorata magari della sua compagna di banco senza esserne corrisposta e che per questo avrebbe sofferto più degli altri. La mia era una preoccupazione direi statistica che mi faceva pensare che avrebbe avuto molte più probabilità di altri di trovarsi sola. Mi sono ricreduto e ne sono felice.

Pochi anni dopo, aveva ancora 14 o 15 anni, dopo un periodo accompagnato certo anche da sue acute sofferenze dovute ad un percorso liberatorio che è e non può che essere comunque in larga parte personale, durante un meeting sulla omosessualità organizzato dalla sua scuola, prese liberamente la parola e dichiarò pubblicamente la sua omosessualità diventando quasi una piccola bandiera dell'associazione di lesbiche e gay della nostra città. Adesso è una ragazza felice, per quanto si possa essere felici a quell'età, ha avuto e ha le sue relazioni. Ha, molto semplicemente, vissuto esattamente alla pari di altri suoi coetanei.

Oggi che studia in un'altra città l'unica mia preoccupazione è legata alle notizie che sempre più spesso si sentono di azioni discriminatorie o, peggio, violente. La società pare stia regredendo da molti punti di vista. Non ho mai scritto a giornali o associazioni o raccontato ad altri, se non agli amici, questi brevi e, mi auguro, non così eccezionali fatti, lo faccio oggi con lei perché mi è piaciuto molto, oltre alla posizione che condivido pienamente sull'importanza personale e sociale del coming-out, vedere finalmente puntualizzare un fatto di cui non si parla spesso, il contrasto cioè all'idea comune che lega troppo fortemente l'omosessualità al sesso.

Chi non sa, nel senso che non ha vissuto in prima persona, ha spesso in mente una tale raffigurazione che è incrostata da anni nella nostra cultura: quando sente parlare di omosessualità pensa in modo immediato a due corpi su un letto, come se sempre ci fosse il sottinteso di un altro termine antico nella nostra cultura: perversione.

Io che nel mio piccolo invece ho visto, so che si tratta di amore. Dai primi innamoramenti a quelli più maturi sono semplicemente legami d'amore che certamente, come dice anche lei contengono anche e per fortuna la sessualità ma che corrispondono in tutto allo stesso senso che il pensare comune attribuisce ai rapporti affettivi eterosessuali.
Mi piacerebbe che anche gli altri lo sapessero e che coloro che lo sanno lo dicessero più spesso e mi piacerebbe anche che in un mondo ideale persino il termine omosessualità venisse sostituito quando se ne parla con altri termini che contengano al posto della radice della parola sesso quella della parola amore.

Mi scusi se mi sono dilungato e se traspare dalle mie parole quel tantino di orgoglio per mia moglie e me e l'enorme orgoglio che proviamo per nostra figlia.

Grazie per avermi letto, un cordiale saluto.
Carlo Barucco


fonte: Huffingtonpost.it