11/07/13

Da Marini alla sospensione dei lavori. Non è cambiato nulla.

Chi pensava che la piramide del Partito Democratico si fosse accorciata e che, quindi, le decisioni venissero condivise almeno dal gruppo parlamentare si è sbagliato di brutto.
La Marini's story non ha insegnato nulla, anzi. Se per la scelta del Presidente della Repubblica almeno c'era il teatro dell'orrore del Capranica, questa volta non c'è stata nemmeno una discussione.

Il modello Bersani è stato ereditato dal giovane Speranza. Finché c'è vita c'è Speranza, finché ci sarà Speranza non ci sarà Partito Democratico.
Qualche mese fa, Bersani riunii i gruppi parlamentari e li mise davanti a una scelta che all'apparenza era democratica, votare Marini o no. Tutto questo dopo che il nome del buon Marini era stato concordato con le altre forze di centrodestra. Poi sapete come andò a finire, che Marini non trovò il sostegno del PD e non perché si trattava di Marini ma perché era l'operazione totalmente sbagliata.

Questa volta il Partito Democratico fa peggio, tratta sui giorni della sospensione con il maggiore alleato e poi invita i parlamentari a recarsi entro 14 minuti in aula per votare la sospensione dei lavori. Nemmeno una discussione interna e quando non si discute i dissidenti ci sono, per natura. Perché è ovvio che in una discussione interna c'era il pericolo che i contrari alla sospensione dei lavori avrebbero potuto convincere anche altri e mettere a rischio l'accordo fatto con la maggioranza.

Quindi è andata così: il PDL chiede la sospensione dei lavori perché deve elaborare una strategia per il suo leader che deve affrontare il processo della Cassazione tra venti giorni. Senza i voti del PD, alla Camera non si decide nulla. Il PD trova l'accordo con il PDL su un solo giorno di sospensione anziché tre. Il PD riunisce il segretario Epifani, il capogruppo Speranza e il ministro ai rapporti con il parlamento Franceschini. Ovviamente i vari portatori sani di parlamentari erano in contatto con uno dei tre mentre si svolgeva la riunione. Si decide di votare direttamente in modo tale che i dissidenti non avessero il tempo per poter convincere altri ad astenersi.

E poi c'è anche chi la chiama normalità e democrazia. Come se i motivi per sospendere i lavori siano validi. Come se trovare l'accordo su un giorno anziché tre sia una vittoria. Sembra un patteggiamento. Roba da far accapponare la pelle anche alla dittatura cinese.

E c'è anche chi parla di dissenso per guadagnare consenso in vista del congresso. Tesi validissima se il fronte dissidente non fosse così plurale, Bindi, Civati, Gentiloni e altri.

No, il Partito Democratico non riesce a imparare dai propri errori, mentre il Popolo delle Libertà ogni giorno li mette in crisi. E poi ci dicono che le larghe intese sono un tema che non deve essere affrontato al congresso, o forse sarà il tema del congresso.